“Squid game” di Hwang Dong-hyuk

Alla fine, che vincete o che perdete, so' sempre ca… lamari vostri.

Squid Game di Hwang Dong-hyukSquid Game di Hwang Dong-hyuk
La cine-cologa

Se giochi muori sparato. Se non giochi muori di fame. Fatto sta che ad alternative non pensa nessuno degli indebitatissimi giocatori di Squid Game. Così la serie scritta e diretta da Hwang Dong-hyuk ha incantato il pubblico di tutto il mondo, tra pioggia di sangue stile Tarantino e richiami all’Enigmista di Saw ma con gli occhi a mandorla. Vediamo come, a un certo punto, quello che ci insegnavano da piccoli nella vita può sempre tornare utile: “Non parlare con gli sconosciuti”. Tipo con tizi che alla stazione metro giocano con te e ti schiaffeggiano ogni volta che perdi.

Etimo-cinecologia

Ma che bello quando sei pieno di debiti fino al collo e arriva un perfetto estraneo e ti offre denaro in cambio di… giochi. Quei giochi che anche online, se ci pensate, propongono montepremi in cambio di nulla. Quei giochi che, vabbè, seppure somigliano a una truffa “chi se ne importa ci si prova”. Ecco, giochi semplici, di quelli che si fanno da bambini tipo Uno, due, tre, stella. Che poi qui ci vuole una digressione: fonti certe sullo studio dell’etimocinecologia mi hanno confermato che la dicitura corretta è “Uno, due, tre, stai là”, non c’è proprio nessuna stella. Ora, con questo macigno nel cuore, vediamo come sia possibile rendere tutto più brutto mettendo un gioco con definizione etimo-cinecologica scorretta in Squid Game. Partiamo dall’inizio…

Il protagonista della serie, Seong Gi-hun, ludopatico sudcoreano e a tratti pure un po’ demente, si è indebitato così tanto che non sa come uscirne fuori. Per sopperire ai suoi problemi ruba i soldi alla madre che sta morendo di diabete e arriva a firmare una carta per l’espianto degli organi per pagare gli strozzini. Dopo una giornata pessima in cui il compleanno della figlia diventa il triste siparietto della povertà materiale e morale del protagonista, Seong Gi-hun viene avvicinato in metro da un sorridente sconosciuto vestito di tutto punto. Il tale gli propone di fare un gioco insieme a delle condizioni: a ogni vittoria darà a Seong Gi-hun 100.000 yuan e a ogni sconfitta gli darà invece uno schiaffo. Senza indugi, il nostro eroe ludopatico prende un sacco di mazzate, ma alla fine, con la faccia gonfia come una zampogna, ne esce vincitore e intasca il denaro. Il tizio sconosciuto gli dà allora un biglietto da visita con un numero, esortandolo a chiamarlo per partecipare a giochi simili in cui si ricevono compensi in denaro. Da qui comincia la fine.

Uno, due tre, stai… sparato

Seong Gi-hun non pensa minimamente ci sia nulla di strano in quello che è accaduto ma anzi vede la cosa come un’opportunità di riscatto e chiama il numero. Così lo prelevano, lo drogano e lo portano su un’isola dispersa chissà dove, lasciandolo senza telefono, senza un documento e senza alcuna libertà. Mentre gli sorge il leggero sospetto che qualcosa potrebbe andare storto, Seong Gi-hun si ritrova così in una grande stanza piena di letti insieme a tante altre persone indebitate come e peggio di lui. Tra queste c’è pure il suo amico d’infanzia, Cho Sang-woo, che bello. Non importa che ci siano tizi vestiti con tute rosa stile Power Ninja e maschere nere con un grande simbolo al centro del volto (quadrato, cerchio o triangolo). Tutti sereni vanno ad affrontare il primo gioco che si rivela un po’ come il primo amore: quello che non si scorda mai.

Si tratta di Uno, due, tre, stella (sì, perché nessuno si è preso la briga di correggerlo) e si svolge in un enorme spiazzo che i giocatori devono attraversare per raggiungere la linea del traguardo in fondo. A contare e a voltarsi, però, sorpresa, non c’è una persona ma una bambola robot girante che ruota la testa come la bambina dell’Esorcista e che al posto degli occhi ha enormi sensori di movimento. Insomma si comincia e chi si muove viene… sparato. Cecchini appostati in alto alle pareti che recintano la zona fanno fuoco come fosse Capodanno. Muore praticamente la metà dei giocatori. A questo punto il dubbio che ci sia sotto qualcosa cresce e, niente, si fa una votazione tra i partecipanti e vince chi sceglie di tornare a casa. Sempre drogati, gli indebitati vengono tutti rispediti alle loro vite. Però quella vita è un macello: debiti, debiti e niente giochi. Soprattutto che bello il rumore degli spari che sembrano pop-corn e il colore acceso del sangue che ha spruzzato un po’ dappertutto e che noia non vedere più nulla di questo. I ludopatici, ormai verso lo stadio della sociopatia, in tantissimi decidono quindi di riprendere il gioco.

Di nuovo sparati

Così che bello, tutto ricomincia e muoiono di nuovo un sacco di persone che perdono, per esempio, al tiro alla fune. Ah, a questo punto la maggioranza vuole continuare a giocare, quindi di tornare a casa non se ne parla. Però l’ultimo gioco, quello più importante, sta nel titolo: Squid Game vuol dire, infatti e non a caso, il Gioco del calamaro. Una roba difficilmente spiegabile ma in cui si gioca con una gamba sola e vince chi spinge l’avversario fuori da una certa linea. Beh, bando alle ciance, vince Seong Gi-hun. Solo che adesso il nostro protagonista è stremato da quello che ha passato, da tutta la morte che ha visto e alla fine non gliene frega manco più nulla dei soldi.

Anzi, peggio… passa del tempo e viene a fare una scoperta inquietante: il giocatore numero 1 (sì, perché lì tutti hanno un numero assegnato) non è il buon vecchietto che credeva di aver incontrato ma addirittura il creatore dei giochi che ha partecipato per curiosità. Quando Seong Gi-hun lo incontra, lo trova sul letto di morte e riceve la rivelazione. E pensare che non ci aveva capito una mazza: era convinto che il vecchietto fosse un suo grande amico e, anzi, che si fosse sacrificato per farlo vincere. Ah, nota importante: nel frattempo in tutta la stagione c’è un detective, Jun-ho, che cerca il fratello scomparso proprio dove si tengono gli Squid Game. Jun-ho si traveste da addetto (tanto non si vedono in viso e poi non parlano nemmeno) per non essere riconosciuto e scopre alla fine che suo fratello è il Frontman, quello che supervisiona i giochi e che, quando lo vede, gli spara. Ah, l’amore fraterno!

Non c’è due senza tre e non c’è Squid senza Game

Tutte le sparatorie e le assurdità della prima stagione hanno cambiato Seong Gi-hun che anche se è pieno di soldi non ce la fa a rifarsi una vita. Trasformatosi in un supereroe ex-ludopatico, con i capelli tinti di rosso fuoco, decide che deve smantellare gli Squid Game. Passa così due anni a fare ricerche e a spendere il montepremi per pagare sicari dello stesso strozzino che nella prima stagione aveva minacciato di prelevargli gli organi. Quando ogni speranza sembra perduta, riesce a trovare il Reclutatore, alias il tizio in completo che gira per le metro offrendo denaro in cambio di giochi. Faccia a faccia con lui, fanno un gioco in memoria dei vecchi tempi: la roulette russa, dove però, perde il Reclutatore.

Comunque Seong Gi-hun riesce a ottenere le informazioni che vuole, ossia il contatto con il Frontman, colui che si occupa della gestione dei giochi. Con l’aiuto dei sicari dello strozzino e anche dell’ex agente di polizia, Jun-ho, fratello del Frontman (che però non informa nessuno di questo), il nostro protagonista studia una strategia alla Mission Impossible che però fallisce miseramente. Peggio ancora: finisce che Seong Gi-hun si trova in macchina con il Frontman e accetta di partecipare di nuovo agli Squid Game per demolirli dall’interno. È un po’ come Don Chisciotte che invece che combattere da fuori con i mulini a vento pensa di entrarci dentro per dargli fuoco.

Si torna così a Uno, due, tre, stella (ancora, recidivi non cambiano l’errore), a un sacco di gente morta e a tutta quella roba già vista nella prima stagione che però, dai, vediamola di nuovo che fa figo. C’è da dire, però, che almeno i giochi dopo il primo cambiano, perché non muoiono abbastanza persone a causa di Seong Gi-hun che li mette in guardia. Insomma, adesso, quel che succeda succeda, la domanda resta una e vale per entrambe le stagioni: perché? Ma perché tornare in un posto dove è palese che potresti morire senza vincere nulla?

Soprattutto dopo che hai vinto la prima volta, solo perché dovevano fare la seconda stagione. Perché, tra l’altro, se in quel posto per vincere tu devono morire tutti e la cosa ti ha traumatizzato? E perché nessuno si cerca un lavoro normale santo cielo? Ma perché piace tanto vedere gente che muore a casaccio per colpa di cecchini mascherati da pupazzetti ninja? E poi… ma davvero… perché lo fate vedere ai bambini? Come glielo spiegate che chi perde a nascondino non viene sparato? Insomma, il successo di Squid Game è un po’ sfuggito a tutti di mano: adesso c’è addirittura chi organizza giochi simili su TikTok e si sente Frontman. A ogni modo, Squid Game qualcosa lo insegna a tutti: che, gira e gira, che perdete o che vincete, so’ sempre ca… lamari vostri.

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