“Blame The Game” di Marco Petry

Giochi di società dove il più intelligente è il pappagallo.

"Blame The Game" di Marco Petry."Blame The Game" di Marco Petry.
La cine-cologa

Blame the Game, diretto da Marco Petry, è il film tedesco che ha scalato la top 10 di Netflix poco dopo essere uscito. Allo stesso modo, poco dopo essere salito in vetta è sceso. Perché? Beh, lo dice il titolo stesso: “colpa del gioco”. Per lo meno, questo sarebbe il messaggio implicito della storia, cioè che qualsiasi accidenti (che comprende notti trascorse nella tana di una tigre, sfide di ping pong tra uomini nudi e trappole improbabili) sia colpa del gioco. Gioco d’azzardo? Ma no, troppo banale. Qui si parla di giochi di società, roba forte. Vediamo come le insidie del Monopoli, il rotolare compulsivo di dadi e lo scorrere impetuoso della sabbia nella clessidra per lo Scarabeo possano essere motivo di… realizzare un film. Dico, avete capito bene, un intero film. Che per necessità o è un “capolavoro” o un “lavoro da fare tutto da capo” perché non funziona. Ma adesso basta preamboli: le pedine sono sul tabellone, gli snack al centro del tavolo e i dadi pronti a rotolare un po’ come la mia speranza, in un burrone, alla fine della visione del film.

Com’è cominciato (… ma poi perché doveva cominciare?)

Quando i cani di Jan e Pia si incontrano nel parco e cercano di accoppiarsi, suggellano la storia d’amore tra la coppia. Tutto va per il meglio mentre Jan vende biciclette nel suo negozio e Pia scatta le sue foto ad animali e padroni di tutto il quartiere. Un giorno però – anzi una notte – ogni cosa cambia: Pia deve partecipare alla serata di giochi con i suoi ricchissimi amici in una villa sfarzosa e invita anche Jan per l’occasione. Dal canto suo, al ragazzo non frega nulla dei giochi di società né capisce il senso della cosa ma, spinto dal suo migliore amico, si presenta alla serata. Da quel momento tutto quello che accade è una serie di eventi improbabili e grotteschi che portano prima al declino fisico poi a quello mentale e fa tutto subito Qualcuno volò sul nido del cuculo. Solo che non c’è nessun cuculo ma un pappagallo cacatua che vive nella mega villa e che è letteralmente venerato dal suo proprietario, certo Oliver, amico di Pia.

Oliver a sua volta è sposato con Karo (donna con un caratteraccio) che ospita in casa Kurt, palesemente reduce di un colpo alla testa violento, vista la prontezza mentale. C’è poi anche Sheila, giocatrice ossessionata dalla sua ex fidanzata e Matthias, ex fidanzato di Pia. Non ricordate tutti i nomi? Non vi preoccupate, non ce ne sarà assolutamente bisogno, dal momento che niente conta se non che pochi fatti: il cacatua, il ping pong nudi e il nonsense del finire a vomitare nei pressi della tana di una tigre.

Tra un cacatua smarrito e una castrazione da ping pong si gioca

Jan non si sente particolarmente a suo agio nella villa zeppa di gente bizzarra, in più ricordiamo che non gliene frega una mazza dei giochi di società. Così se ne va gironzolando per le stanze del posto e libera accidentalmente il cacatua di casa che ha una camera tutta per sé con tanto di ritratti a misura di parete. Dopo aver chiesto aiuto (con una telefonata) al suo migliore amico che trascorrerà la notte a cercare di catturare il pennuto, Jan torna dagli altri, ma fa un’amara scoperta: l’ex fidanzato di Pia, Matthias, parteciperà ai giochi ed è lì con tutte le intenzioni di riconquistarla. Ogni partita, ogni battuta, ogni patatina mangiata da quel momento in poi diventa motivo di competizione finché non si arriva alla sfida finale.

Per rimodernare il concetto “di chi la fa più lontano” (del resto siamo di fronte a un film innovativo), i due sfidanti non solo si calano le braghe, ma si tolgono tutti i vestiti e rimangono nudi a giocare a ping pong. Inevitabile che le palline lanciate si infilino in orifizi vari e proprio Matthias – come si suol dire – se la prende in quel posto. D’altra parte Jan e Pia, se mai la loro storia andrà avanti, potrebbero faticare ad avere bambini un giorno. Ma che importa: spezzati i sogni di progenie e rese necessarie visite da proctologi e andrologi, ormai la serata dei giochi di società è andata a farsi benedire, come il cacatua che non si trova più. Ma tutto va per il peggio quando Pia mostra pietà per Matthias che alla fine se ne va ubriaco in uno zoo per entrare nella tana di una tigre e dimostrarle il suo amore. Vi siete persi? Non temete, è tutto normale perché davvero non c’è nulla da seguire. Dicevamo della tana della tigre…

Matthias se ne va allo zoo ubriaco e vomita un po’ dovunque lasciando pozzanghere di roba biancastra e appiccicosa che tutti calpestano come fossero ciechi. Con le scarpe ormai da buttare, Jan decide di partecipare attivamente alla ricerca di Matthias e così si cala nella tana della tigre. Cosa non si fa per amore, eh? Ma niente, ragazzi, niente di tutto questo. Non fatelo a casa. Insomma la tigre prova a mangiarlo, il gruppo di squinternati ricchi lo tira fuori e Matthias? Niente, era in giro per lo zoo, non era mai entrato nella tana del felino. E Pia? Pia ama di nuovo Jan che è quasi morto per salvare il suo ex che poi non era da salvare. E il cacatua? In realtà è lui il vero protagonista, uccello nel cuore di tutti ma anche l’unica cosa davvero chiara allo spettatore. Il cacatua sta bene e insieme a lui stanno bene tutti. Ogni cosa era cominciata dalla sua dipartita, lontano dalla stanza con i ritratti giganti ed ogni cosa è finita con il suo ritorno a casa. Insomma Blame the Game è un film che vuole dirci che alla fine il destino del cacatua è faccenda di tutti: cacatua, cacasua, cacanostra, cacavostra e cacaloro. Chiamarlo Alla ricerca del cacatua forse avrebbe fatto troppo film Pixar ma di certo l’avremmo capito tutti di più. Ad ogni modo, pur non avendo capito molto, soprattutto perché Jan stia ancora con Pia, accontentiamoci del finale che li vede felici, tutti insieme appassionatamente a giocare ogni settimana ai giochi di società. È stata colpa dei giochi allora se tutto stava per andare a rotoli? No, del cacatua.

Share