Raoul Bova: “La voglia di gareggiare era un’ossessione”

“Ho capito che per essere me stesso dovevo ascoltarmi, accettarmi”.

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Raoul Bova parla di Emily in Paris 4, l’attesa serie Netflix in arrivo il 15 agosto. A Marateale l’attore si racconta, dal debutto al grande sogna americano fino alla popolarità in Italia ormai da anni.

Il tema del perdono

Nella serie Raoul Bova interpreta la parte di Marcello, concreto ma mai appariscente, fedele alle radici dell’azienda di famiglia guidata dalla madre (Anna Galiena). “Ho fatto la prova costumi a Parigi in un contesto produttivo gigante e però curatissimo. Poi le riprese a Roma”, ha raccontato l’attore all’Ansa. “La prima scena? A letto con Philippine Leroy-Beaulieu, la boss Sylvie dell’agenzia, così tanto per rompere il ghiaccio. Ero terrorizzato, lei è stata divertente, abbiamo scherzato e tutto è andato bene da quel momento in poi. Certo un po’ di stereotipo c’è: io interpreto Giancarlo, un regista pubblicitario italiano con cui Sylvie si rilassa, si sente libera, sorridente, sono il suo detox, ma Emily in Paris è una serie leggera e divertente e non si può chiedere altro se è un successo globale“.

L’attore sottolinea ancora: “Non vorrei dire, ma questa serie è venuta molto bene, con temi interessanti come è caratteristica di questa fiction così tanto amata, capace, forse è il segreto di una ventennale longevità, di essere un orologio sempre al passo con il tempo”. Poi spiega: “In questa stagione c’è il nuovo capitano Eugenio Mastandrea ed entra in gioco Federica Sabatini che interpreta mia sorella. Si comincia a sapere qualcosa di più del personale vissuto di don Massimo, c’è un tema familiare e un tema più grande che riguarda il perdono e la capacità di sapersi mettere in discussione e comprendere il prossimo. Sono entrato nella 13/a stagione un po’ in sordina rispetto a una macchina da guerra come don Matteo e ora comincio a sentirmi vicino il personaggio. Cosa mi piace più di tutto? Il suo essere intergenerazionale“.

Una gabbia dalla quale scappare

L’occasione della masterclass nel festival diretto da Nicola Timpone è anche quella di guardare il passato, testimoniando ai tantissimi giovani che lo ascoltano una grande tenacia. “Il destino che avevo progettato, quello di campione, di nuovo si è infranto sotto il peso di tutte quelle aspettative mie, di mio padre, del mio allenatore. Avevo bisogno di supporto più morale che fisico, la voglia di gareggiare era un’ossessione, soffrivo il giudizio, quell’ansia incredibile, ci sono voluti anni per riappropriarmi dello sport come gioia. Era una gabbia dalla quale scappare ma avevo paura di deludere soprattutto mio padre“. Raoul Bova racconta che “dopo aver perso la gara della vita ho abbandonato, mi ha salvato il cinema. Andai ad un provino e anziché farlo crollai psicologicamente davanti al regista, raccontando tutto il mio dolore, fu una liberazione e ancora oggi ringrazio Reali per avermi ascoltato, lo colpii talmente sul piano umano che mi diede il ruolo di protagonista, sarei stato un ragazzo perso per strada come capita a tanti. Ma lì è cominciata anche la mia determinazione: da quel giorno mi sono sentito fortunato, un prescelto senza merito e quindi decisi di recuperare studiando come un matto recitazione per anni, ed è così che piano piano nel tempo, tra successi e delusioni come succede a tutti ho cominciato a far pace con me stesso, scoprire questo mondo senza l’ansia di vincere che mi portavo dietro dallo sport. Come? Quando ho capito che per essere me stesso dovevo essere meno severo con me stesso, ascoltarmi, accettarmi senza fare quello che gli altri si aspettavano da me”.

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