Dopo l’edizione di X Factor record di ascolti terminata il 5 dicembre, Manuel Agnelli parla della sua esperienza come giudice nel programma e fa alcune considerazioni sul mondo della musica di oggi. Ospite del podcast Passa dal BSMT condotto da Gianluca Gazzoli, Il frontman degli Afterhours non ha dubbi sul fatto che l’ego, non quello patologico, aiuti l’arte e che non ci sia nulla di male del possederlo. Poi esorta gli italiani a pensare in grande, a sognare.
Pensare in grande
“Che ci sia gente che dopo aver visto i Maneskin comincia a suonare pensando che un giorno lo farà a New York è giusto, non è vana glorioso”, spiega Manuel Agnelli. “Come italiani dobbiamo abituarci a pensare anche in grande, ci riduciamo sempre al lumicino. Vogliamo essere sempre formichine che non se la devono tirare. Poi non produci, bisogna sognare”. Poi parla di come l’ego sia funzionale all’arte, chiaramente non quello patologico. “L’ego? È ipocrisia pensare che uno che va sul palco a raccontare le proprie storie alla gente considerandole interessanti e deve anche essere umile. Non c’è niente di male, l’arte è la glorificazione dell’ego e i risultati sono bellissimi. Quando trascende nel narcisismo patologico è un’altra storia. Ma prima c’è un mare creativo vitale”.
L’esperienza a “X Factor”
“Mi sono sempre sentito un po’ in famiglia là dentro”, dice Manuel Agnelli riferendosi a X Factor. Un’esperienza scelta per condividere quanto ha imparato nei suoi anni di carriera ma, soprattutto, per la passione per la musica. “Ho una passione vera per la musica, che è una semi religione. Faccio fatica a non trattarla con rispetto e non approfondire le cose. Ti affezioni ai ragazzi ed è un problema molto grosso, perché devi gestire la parte personale in una gara spietata a eliminazione. Ti devi abituare. È uno sport molto difficile. La gente da casa vede la superficie, non tutto il lavoro anche psicologico che c’è dietro”. Poi, sulla realtà di oggi rispetto la musica, dove il successo è tutto e subito. “Una volta le discografiche prendevano un’artista e al terzo album doveva funzionare”, spiega. “Adesso fanno San Siro al primo disco, è tutto molto dopato e spinto. Questa cosa non permette agli artisti di crescere, è tutto solo superficie, tutto troppo marketing e pochissimo contenuto. I pezzi sono tutti uguali, in questo Morgan ha ragione. Sono tutti scritti dagli stessi team di autori”. E ancora: “Per l’algoritmo funziona molto bene, per la creatività no. È un percorso suicida che porterà alla fine di questo ciclo con un bagno di sangue sia economico che personali. Questi poveri ragazzi andranno dallo psichiatra”.