Carolina Morace, calciatrice di successo prima che europarlamentare, parla al Corriere della Sera della sua storia con Nicola Jane: “È una storia d’amore vera e rara. Con lei condivido tutto”. L’ex calciatrice parla della sua scelta di fare coming out all’età di cinquantasei anni e delle difficoltà che ancora oggi devono essere affrontate.
Coming out nel 2020
“Voi non sapete cosa abbiamo passato, nella nostra storia. Il percorso parte dalla scoperta di sentirsi diverse in un mondo che non ci accoglie certo con l’apertura di vedute di certi Paesi anglosassoni, vedi l’Australia di mia moglie”. Carolina Morace spiega le difficoltà legate al coming out. “C’è ancora tanta sofferenza, e in molte in Italia non l’hanno superata. Questo governo contro le minoranze non è pienamente rappresentativo del popolo italiano: l’astensione al voto si spiega anche così. La cosa che fa più male, qui a Bruxelles, è essere accostati a Ungheria e Bulgaria sul tema dei diritti civili. È molto triste…”. Difficoltà che l’ex calciatrice, spiega, sono vissute da ciascuno in maniera diversa. Per questo non esiste un momento giusto a priori per il coming out: “Non c’è una regola, ciascuna ha il suo percorso. Io ci sono arrivata grazie a Nicola: se sei la prima a considerarti una storia di serie B, il problema sei tu, mi disse. Ma non solo: se non si ha il coraggio di parlarne, come si può pensare di essere accettati?”. E sulla sua relazione non ha dubbi: “È una storia d’amore vera e rara, come non a tutti capita di incontrarla nella vita. Io condivido con Nicola la mia esistenza, le mie giornate, le mie emozioni. Tutto”.
L’amore per il calcio e l’essere pioniera
La storia di Carolina Morace come calciatrice comincia all’età di cinque anni, quando gioca a pallone con suo fratello dopo pranzo. Poi la passione è cresciuta: “Il pallone su di me ha un potere d’attrazione irresistibile”. All’epoca le donne non venivano considerate ‘capaci’ di giocare a calcio, non al livello degli uomini. “Erano anni in cui uno degli allenatori più intervistati, Eugenio Fascetti, diceva che noi non potevamo giocare a calcio. Perché? Perché siete donne, rispondeva. Punto”, spiega. “La sensazione di aprire una strada c’era eccome. Ma deve capire che noi antenate avevamo una spinta feroce rispetto alle giocatrici attuali, che mi paiono parecchio distratte”. Se tra cent’anni la ricordassero per questo, ne andrebbe fiera. “Quel che è fatto, è fatto. Sono stata una pioniera? Okay. Ho detenuto dei record? Va bene. Tutto ha contribuito a fare di me la persona che sono oggi. Empatia e dignità sono due cose che mi interessano molto di più dei traguardi raggiunti. Lo sport ha plasmato il mio carattere e i miei valori. Mi è ben chiaro che non si può sempre vincere. E, se perdo, da domani mi rimbocco le maniche e mi impegno ancora di più”.