Eva Robin’s, pseudonimo di Roberto Coatti, si racconta, parla del suo passato difficile, complicato, in cui c’è l’onta dell’abuso e il ricordo di un rapporto complicato con sua madre.
La scoperta del corpo e il rapporto con la madre
Eva Robin’s ha recitato in film erotici, thriller e anche commedie con registi come Damiano Damiani, Antonio D’Agostino, Maurizio Nichetti, Simona Izzo e Dario Argento. All’incirca da venticinque anni ha una relazione con una donna, di cui non parla quasi mai. Non ha mai cambiato il suo nome all’anagrafe, e negli anni ’70 fu lanciata come ermafrodito, ma in un’intervista al Corriere della Sera fu “un’invenzione per finire sui giornali“. Eva Robin’s è transgender e oggi, dopo un parentesi in TV con il Grande Fratello, si dedica quasi esclusivamente al teatro. Sia l’infanzia che l’adolescenza sono segnate da ombre, abusi, episodi che sono cicatrici, come quando aveva dodici anni e sua madre l’affidava “a un suo amico archeologo, un uomo di oltre sessant’anni che mi portava al cinema, al fiume. Proprio al fiume m’insegna a masturbarmi… Lui mi ha iniziato alla scoperta del mio corpo, alla conoscenza delle reazioni. In collegio pensavo di avere una malattia a vedere questa cosa, questa parte di me, che cambiava dimensione“. Racconta che sua madre ha avuto quattro figli da quattro padri diversi e “per guadagnare da vivere giocava a carte. La notte girava i locali, e mi portava dietro“. E “dagli undici anni non sono più andata, rimanevo a casa con mia sorella. Ma siccome mamma tornava di notte alticcia e disperata, venendoci a svegliare, io mettevo i tappi nelle orecchie che ho continuato a mettere anche da adulta, pur vivendo da sola. Li ho tolti tardi, appena ho capito che lei non sarebbe più arrivata a tormentarmi“. Sua mamma “piangeva, gridava aiuto“.
Essere donna: un modo per sopravvivere
È nel 1975 che Eva Robin’s scopre la potenza del travestimento. “A fine estate, tornata da Riccione, mi faccio le mèches. Quel biondo mi trasforma” perché al bar “chiedo un cappuccino, e il barista risponde ‘subito, signorina’“. Questa frase nella sua testa diventa “un modo per sopravvivere: al ristorante, al cinema le donne non pagano, ovunque gli uomini pagano per loro. Il mio è un calcolo“. E come “uomo non ce l’avrei mai fatta, misure scarse. Essere donna è stato più un escamotage per farcela che una vocazione“. Però l’operazione non è mai stata una sua vocazione: “Sono per la somma, non per la sottrazione“. Poi l’arrivo degli ormoni. “Me li passa il vicino di casa infermiere”, rivela. “Il Progynon depot, quello che davano a Mussolini per tenerlo carico, più ormoni di scimmia e vitamine, l’ho letto su un libro“, che servivano a “bloccare la crescita dei peli. La barba mi faceva paura. In più avevo l’acne che grazie agli ormoni e ai trattamenti di Dodo D’Hambourg, passa“. Dodo era la “spogliarellista di Hitler trasferitasi a Bologna dove aveva aperto un centro estetico”. La mastoplastica additiva è stata invece un “incidente di percorso“: non voleva farlo ma ormai era tardi per “tornare indietro. Erano esperimenti, in quegli anni noi abbiamo sperimentato molto“. E sono stati questi esperimenti a spianare “la strada alle ragazze di oggi. Per loro è più facile grazie a noi: sostegno psicologico, assistenza medica“. E com’è oggi la vita di Eva Robin’s? “Mia madre è morta da tempo, qualche amica anche. Di certo sono più sola”, ammette. “I periodi in cui non lavoro le giornate sono lunghissime“.