Antonino Cannavacciuolo ha sempre avuto ben chiaro il suo sogno: la cucina. Lo chef pluristellato la definisce “il posto più bello dove io possa stare” nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera. Tornato dal 16 maggio con il programma Cucine da incubo su Sky Uno e su Now, Cannavacciuolo racconta l’amore per la sua professione, la voglia di sperimentare e anche di aiutare gli altri.
Il posto più bello
La cucina “è il posto più bello dove io possa stare, dove sono davvero tranquillo. Se mi togli dalla mia cucina io ho finito di vivere”, spiega Antonino Cannavacciuolo. “Per me è un allenamento. Mi alleno e poi torno a fare le partite nella mia cucina”. Poi lo chef parla della voglia di mettersi in gioco e sperimentare: “Ogni volta propongo dei piatti diversi, non mi voglio ripetere, così ci lavoro con i miei chef. Ed è anche successo di aver preso a mia volta degli spunti da quelle cucine, derivanti magari dall’arte dell’arrangiarsi, cosa che nelle cucine professionali si è persa”.
Un’esperienza, quella di Cannavacciuolo, maturata grazie alla perseveranza e a un’idea: quella di un buon servizio. “Sono entrato a Villa Crespi che avevo 23 anni e lavoravano con me 15 persone. Era una sfida fatta in un’età che è anche quella giusta per sbagliare. Oggi siamo in 70”, spiega. “Per farlo è stato fondamentale comunicare, motivare le persone, creare una squadra. Già vent’anni fa dicevo che il servizio vale più della sala, per dire”.
L’esperienza televisiva
“Il mio percorso era già scritto: già sapevo quello che volevo fare, la mia idea di imprenditoria legata al cibo”, racconta Antonino Cannavacciuolo. Poi spiega come la televisione abbia cambiato in meglio la sua vita: “I primi soldi arrivati dalla tv li ho investiti sulla società, in primo luogo per far stare meglio chi ci lavora: ho rinnovato tutta la cucina di Villa Crespi, l’ho resa una cucina professionale”. Lo chef ha fatto lo stesso anche con gli altri suoi ristoranti, Laqua e il Banco di Cannavacciuolo.
Il lavoro in televisione non solo gli ha permesso di migliorare la propria attività ma anche di riscoprirsi empatico e capace di mettere la propria esperienza al servizio degli altri. Riferendosi a Cucine da incubo, lo chef spiega: “È un programma a cui sono molto legato perché l’obiettivo è rendere felici le persone. Spesso, quando riparto, la gente piange: questo dà l’idea di quanto mi dedichi, anima e corpo al risollevare un ristorante in un momento di difficoltà. Ogni volta ci passo tre giorni e sono sempre tre giorni di fatica di lavoro”.