Raz Degan ha condiviso la sua storia in un’intervista su Tv Sorrisi e Canzoni parlando della sua infanzia, della sua carriera e della sua esperienza sul set di Un passo dal cielo 8. È stata Cindy Stuart a convincerlo ad accettare la parte. L’attore si porta dietro tante ferite: “Sto lavorando continuamente per guarire. Altrimenti si fa solo del male a sé stessi, mentre il mio obiettivo è raggiungere la pace interiore. Sono nato e cresciuto sotto la minaccia delle bombe: ho trascorso parte dell’infanzia nei bunker, le cicatrici della guerra sono incise sulla mia pelle e nella storia della mia famiglia”.
Perché ha accettato il ruolo
L’attore israelo-italiano è la new entry della fiction italiana dove interpreta un misterioso ricercatore: “Ero impegnato su altri progetti: da quattro anni sto scrivendo un’autobiografia, dove per la prima volta aprirò il mio cuore raccontando particolari della mia infanzia che ho sempre tenuto nascosti. E poi da dodici anni mi sto dedicando a un documentario. Perciò non avevo voglia di staccarmi da questi impegni. Ma la mia compagna ha letto il copione e mi ha detto che nel personaggio di Stephen c’era molto di me. Così ho deciso di accettare. Mi ha ricordato tanto mio padre e mi sono ispirato a lui per calarmi nella parte. Credo sia stato il ruolo più profondo che ho avuto, non mi sono mai lasciato andare così. Stephen mi ha dato l’opportunità di fare i conti con il passato, perché abbiamo attraversato esperienze molto simili“.
Eccessiva sensibilità
Quando gli è stato chiesto se avesse seguito le stagioni precedenti della serie, Raz Degan ha candidamente ammesso: “No, non guardo la TV e nemmeno ne possiedo una. Ma la storia mi ha subito conquistato“. Ha parlato della sua ‘eccessiva sensibilità’, un tratto che cerca di mantenere nascosto: “L’eccessiva sensibilità che cerco di non fare trasparire. Oggi sono più saggio e meno selvaggio, ma a volte mi riesce difficile scendere a compromessi e tacere quando vorrei gridare. Davanti alle bugie, all’ipocrisia e all’ignoranza. Mi fanno impazzire perché credo che ognuno di noi abbia la possibilità di cambiare la sua vita. Ma pochi lo fanno“. E sulla scelta di vivere in un trullo: “Dopo venti anni vissuti in giro per alberghi, avevo bisogno di un rifugio, di un posto mio. E ho scelto una località isolata, dove potevo stare in mezzo alla natura. Come facevo nel kibbutz dove sono cresciuto“.